Con un incontro che si è svolto questa mattina negli spazi dell’ADI Design Museum di Milano, Fondazione Symbola, Deloitte Private e POLI.design, con il supporto di ADI, Circolo del Design, Comieco, AlmaLaurea e CUID hanno presentato e commentato i risultati del report “Design Economy 2023”, studio realizzato con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza del valore del design per la competitività del sistema produttivo nazionale.
Secondo i dati raccolti nel rapporto, in Italia sono 36 mila gli operatori del settore del design, articolati tra 20.320 liberi professionisti e lavoratori autonomi e 15.986 imprese, che hanno generato nel 2021 un valore aggiunto pari a 2,94 miliardi con 63 mila occupati. Le imprese si distribuiscono su tutto il territorio nazionale, con una particolare concentrazione nelle aree di specializzazione del Made in Italy e nelle regioni Lombardia, Piemonte, Emilia–Romagna e Veneto, dove si localizza il 60% delle imprese. Tra le province primeggiano Milano (14,3% imprese e 18,4% valore aggiunto nazionale) Roma (6,6% e 5,3%), Torino (5,1% e 13,3%). Le imprese operano per il 32,8% all’estero 24,2% extra EU, per il 44,8% su scala nazionale, mentre per il 22,4% su scala locale.
Capitale del design italiano si riconferma essere Milano, capace di concentrare il 18% del valore aggiunto del settore sul territorio nazionale. Il territorio lombardo raccoglie il 29,4% delle imprese italiane (due terzi dei quali fatto di liberi professionisti e lavoratori autonomi), il 32,5% del valore aggiunto e il 28,5% dell’occupazione complessiva. Immediatamente dopo la Lombardia spiccano altre tre regioni settentrionali: il Veneto (seconda per quota di imprese 11,5%, quarta per valore aggiunto, 11,0% e terza per occupazione, 11,6%), l’Emilia Romagna (terza per quota di imprese, 10,7%, ma seconda per valore aggiunto, 13,3% e occupazione, 13,0%) e il Piemonte (quarta per quota di imprese, 8,5%, unico caso in cui le imprese prevalgono su liberi professionisti e lavoratori autonomi, terza per valore aggiunto, 11,7% e quarta per occupazione, 11,5%).
Una sezione del report “Design Economy 2023” indaga il design in relazione alla transizione ecologica e sociale del nostro Paese. Il tema della sostenibilità emerge come rilevante per il settore: ben l’87,4% dei soggetti intervistati ne sottolinea l’importanza nei progetti in corso, quota che arriva al 96,5% nel caso delle piccole-medie imprese. A questa centralità corrisponde una consapevolezza diffusa nei livelli di competenza, considerati alti o medi dall’86,9% degli intervistati, con una accentuazione per le organizzazioni di maggiore dimensione (97,1%). Per contro, la presenza di un livello minimo di competenze riguarda solo il 2,8% del totale.
Inoltre, sollecitati sul tema degli strumenti formali di certificazione richiesti attualmente dai clienti privati, gli operatori evidenziano un 29,2% di richieste, quota che sale a oltre il 60% per le piccole e medie imprese. Un altro 19,8% segnala una prospettiva di interesse futuro, aspetto sottolineato in particolare dai professionisti intervistati (28,2%).
“La leadership italiana nel design conferma il suo ruolo importante come infrastruttura immateriale del Made in Italy e protagonista nella sfida della sostenibilità – osserva Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola -. Nel pieno di una transizione verde e digitale il design è chiamato nuovamente a dare forma, senso e bellezza al futuro. Molti aspetti della nostra vita, così come molti settori, mutano: dalla metamorfosi della mobilità verso modelli condivisi, interconnessi ed elettrici, ai processi di decarbonizzazione e dell’economia circolare che stanno cambiando l’industria e le relazioni di filiera. I prodotti, in un contesto di risorse scarse, dovranno necessariamente essere riprogettati per diventare più durevoli, riparabili, riutilizzabili. Il rapporto tra design e sostenibilità è alla base del nuovo Bauhaus europeo lanciato dalla presidente Von der Leyen per contribuire alla realizzazione del Green Deal europeo e anche per questo l’Italia ne è una naturale protagonista. Perché, come scritto nel Manifesto di Assisi, affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro”.
Secondo Luciano Galimberti, presidente di ADI Associazione per il Disegno Industriale, “il design di oggi è un sistema complesso. Nasce da competenze, culture professionali e comportamenti differenti. Il design italiano in particolare, che si distingue da sempre per la sua capacità di costruire relazioni virtuose tra prodotti, mercato e utenti, ha sempre più bisogno di conoscere a fondo le articolazioni di questo panorama. Per questo ADI ha intensificato la sua collaborazione alla raccolta e all’interpretazione dei dati di Design Economy. Per elaborare strategie di sviluppo efficaci occorrono strumenti conoscitivi affidabili e ADI contribuisce con la sua esperienza a rendere il più completi possibile questi strumenti”. Ernesto Lanzillo, Deloitte Private Leader, ha commentato: “le imprese del design made in Italy hanno dimostrato grande forza e capacità di trasformazione in questi anni complessi, segnati dalla pandemia, dalla guerra in Ucraina e dall’inflazione che ne è derivata. Infatti, nonostante uno scenario così complesso, l’Italia si conferma il Paese europeo con il maggior numero di imprese attive nell’ambito del design, con vaste e positive ricadute sul territorio sia in termini di occupazione sia di valore aggiunto generato. Questo settore, però, risulta ancora molto frammentato, composto prevalentemente da liberi professionisti e micro o piccole imprese. È dunque importante pensare ad azioni mirate al rafforzamento delle competenze manageriali e imprenditoriali, che consentano alle organizzazioni di continuare a crescere e di sapere rispondere alle grandi trasformazioni dell’economia sia nazionale sia globale. Oltre alle sfide manageriali “tradizionali”, le imprese del design dovranno far fronte alla richiesta di sostenibilità che viene da consumatori, investitori e regolatori: specialmente per le PMI, i rating di filiera e il rating ESG potranno rappresentare un biglietto da visita per operare in un contesto globale dove la sostenibilità, tramite il buon governo societario, è un prerequisito fondamentale per rimanere sul mercato”.